2021


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Le fotografie

– La copertina di una edizione de ‘L’Idiota’.

– La casa di Firenze dove Dostoevskij e la moglie dimorarono.

– La lapide apposta sulla casa di Firenze.
Vi si legge: “In questi pressi / tra il 1868 e il 1869 / Fedor Mihalovic Dostoevskij / compì il romanzo ‘L’Idiota’.

– Miniatura della lettera H. con la figura di un chierico scrittore, manoscritto di origine spagnola, conservato nella British Library di Londra.

– La guarigione del cieco nato e la resurrezione di Lazzaro, XII secolo, provenienza Spagna, Metropolitan Museum di New York.


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DUE «IDIOTI» SAPIENTI
(in letteratura e in teologia)


Il primo “idiota” che non fu tale è un personaggio letterario che ha avuto una relazione con Firenze, anche se in modo indiretto. In quella che allora era la capitale d’Italia infatti soggiornò dal novembre 1868 al luglio 1869 lo scrittore Fiodor Mihailovic Dostoevskij con la moglie Anna Grigorevna e qui completò uno dei suoi romanzi più famosi: L’idiota.
I coniugi erano giunti in Italia i primi di settembre, avevano passato il Sempione (“in parte a piedi”), la Lombardia (“i contadini lombardi” somigliavano molto a quelli russi, secondo lo scrittore) e soggiornato a Milano.

Giunti a Firenze, avevano preso casa in piazza Pitti, dove oggi, sopra il numero 22, si trova una lapide commemorativa. Quindi avevano visitato con fervore le chiese e i musei fiorentini, ammirandoli e a primavera avevano addolcito un poco la tristezza della morte di una loro bambina di pochi mesi prima con l’inizio di una nuova gravidanza di Anna Grigorevna. La donna così ricordava: “mi accorsi che Dio benediceva la nostra unione e che potevamo sperare di avere un altro figlio”. E a Boboli, dove fiorivano le rose di gennaio “ci riscaldavamo al sole sognando la nostra futura felicità” (Dostoevskij mio marito).
Tuttavia Firenze, oltre a capolavori d’arte, non poteva offrire al nostalgico Fiodor Mihalovic ciò che desiderava di cuore: comporre un nuovo romanzo. Non era in grado, come affermava, di “scriverlo qui, bisogna che io sia in Russia, ascolti e partecipi direttamente alla vita russa”. Inoltre non riusciva a imparare bene l’italiano e voleva conferire almeno in francese con un ostetrica e un medico per la gravidanza della moglie. Per questo decise di partire verso Praga facendo delle tappe a Bologna, a Venezia e a Trieste.
Per quanto riguarda L’idiota, Dostoevskij, mentre era in viaggio, rimase sempre in contatto con l’editore Strachov, ma rifiutò le collaborazioni da lui richieste per la rivista Zarja subordinandole alla fine del romanzo, l’idea “più poetica” e “più ricca” che aveva avuto, “ma che non aveva espresso neanche la decima parte di quel che intendeva esprimere”.
Firenze ebbe il merito di dargli l’ispirazione a portarla a compimento e noi ne facciamo ricordo nell’occasione del secondo centenario della sua nascita (11 novembre 1821).

Il romanzo narra la storia del principe Lev Mishkin, persona buona, amabile e malata di epilessia, come lo scrittore, il quale all’inizio lascia una casa di salute in Svizzera e ritorna a Pietroburgo per ricevere una cospicua eredità.
Incontra in seguito la varia e assortita gente della sua società e si trova suo malgrado in situazioni critiche che lo conducono a compatire le sofferenze di persone distrutte dalla disumanità di altre ossessionate dal denaro e dal concetto ipocrita di onore e disonore.
Senza poter intervenire, assiste allo svolgersi delle premesse dell’omicidio da parte di un amante di Nastasja Filippovna, donna intelligente ma anch’essa “umiliata e offesa”. La sua mente si spengerà di nuovo nel tristissimo finale, mentre veglia il corpo esanime di lei. Tornerà quindi nella casa di cura svizzera come il “povero idiota” che una parte di quella corte di personaggi affannati in beghe e miserie spirituali riteneva del tutto asociale e poco interessante.
Dostoevskij non fa sconti: “al mondo dei piccoli nobili e degli aristocratici, che nasconde, sotto la sua ‘conciatura’ perfetta, durezza e vuoto, al trionfo della ordinarietà mentale e morale generata dal potere del denaro, contrappone la figura del principe Mishkin ... cresciuto fra i bambini, vicino alla natura, lontano da quell’ambiente di nobilucci e borghesi al quale appartiene per nascita ... Egli è colmo di bontà, di compassione per gli uomini, indipendentemente dalla loro ricchezza e situazione sociale” – così scrisse G.M. Fridlender nell’appendice di un’edizione Garzanti di tanto tempo fa.

Il secondo idiota ‘sapiente’ è diverso da principe Mishkin e soprattutto è realmente esistito. È un misterioso teologo cattolico che viene citato così nella Polyanthea Mariana, p. 9:

IDIOTA, sed auctor sapientissimus, qui nolens ponere nomina in terris suis humilitatis gratia, proprio suppresso, Idiotae nomen praetulit, floruit ex sententia Cardinalis Bellarmini anno salutis 902 et scripsit Contemplationes de B. Virgine Maria, quae extant in Bibliotheca Magna Veterum Patrum editionis Colonien. Tom. 10. Sed hunc Idiotam non esse nisi Raymundum Iordanum Canonicum Regularem ordinis S. Augustini, primum Uticensis, sive Uzeciensis in Narbonensi Gallia praepositum, deinde Cellensis ad Carum fluvium in Biturigibus Cubis abbatem, qui floruit circa annum Domini 1380, patet ex eius operibus editis Parisiis anno 1654, in 4°; in quibus praeter contemplationes iam dictas, quae in sex solum capita dividuntur, extat opus plenum de Vita, et laudibus gloriosae Virginis Mariae scriptum ann. 1380 et in decem et septem partes distributum procedens per contemplationes breves, ne legens in prolixa lectura valeat fatigari”.

La traduzione:
IDIOTA, ma autore sapientissimo, che rifiutando di porre nomi nelle proprie terre per la grazia dell'umiltà, e soppresso il proprio, preferì il nome di Idiota; fiorì, secondo il parere del cardinale Bellarmino, nell'anno 902, e scrisse Le Contemplazioni della Beata Vergine Maria, che si trovano nella Grande Biblioteca dei Padri Antichi nell’edizione di Colonia, tom. 10. Ma questo idiota non è altro che Raimondo Giordano, canonico regolare dell'ordine di Sant'Agostino, prima preposto di Uzès nella Gallia di Narbona (Gard, Occitania), poi abate di Selles sur Cher tra i Biturigi Cubi (Bourges), il quale fiorì intorno all’anno del Signore 1380; appare dalle sue opere edite in Parigi nel 1654, in quarto, nelle quali, oltre alle suddette Contemplazioni, suddivise in soli sei capitoli, si trova un'opera completa sul La Vita e le Lodi della gloriosa Vergine Maria, scritta nell’anno 1380 e distribuita in diciassette parti, la quale procede per brevi contemplazioni, per non stancare chi legge in una lunga lettura.

Ed è vero. Non è pesante leggerlo. Sua è questa bella e breve contemplazione di Maria:

“Lumen oculorum benedicto Filio suo mediante, qui fecit lutum ex sputo, quo illuminavit caecum natum, quo latet maximum Sacramentum, nam saliva descendens de capite Iesu, Dei Sapientia est, quae dicit: Ego ex ore Altissimi prodivi, ex hac saliva, et naturae humanae terra factum est collyrium, quo illuminatum est genus humanum, designatum per caecum illum, per fidem scilicet Verbi incarnati, unde canitur: Et caro nostra lutum Verbi Sapientia sputum, et genus humanum tali medicamine sanum (Contemplat. 6)”.

La traduzione:
[Maria è] Luce degli occhi, per interposizione del benedetto suo Figlio, che dallo sputo fece il fango con il quale illuminò il cieco nato, e nel quale è nascosto il più grande sacramento (mistero): infatti la saliva che scende dal capo di Gesù, è la Sapienza di Dio, che dice: Io vengo fuori dalla bocca dell’Altissimo, da questa saliva e con la terra della natura umana è fatto il collirio con il quale al genere umano, designato da quel cieco, è resa la vista mediante la fede del Verbo Incarnato; per questo si canta: E la nostra carne luto, la Sapienza del Verbo sputo, e il genere umano con tale medicina è (di nuovo) sano ...

Paola Ircani Menichini, 4 dicembre 2021.
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